Just as long as you save a piece for me

Avrei dovuto ascoltare meno Different class e più gli altri dischi dei Pulp, avrei forse imparato qualcosa di utile.
Una sentenza che pecca indubbiamente per approssimazione, occorre estendere il concetto al di sopra dei 140 caratteri per spiegarsi meglio.

20150524Negli anni d’oro dei Pulp ero troppo giovane, o forse troppo immaturo, o forse mi mancava una guida spirituale adatta per poterli conoscere e godere da loro contemporaneo. Come spesso mi accade, li ho scoperti a posteriori, e come sempre in queste situazioni ci si approccia ai brani più celebri o ai dischi del botto. Different class è indubbiamente il loro album più azzeccato, ma il massimo del pigliatutto sono i suoi due singoli più noti, Common people e Disco 2000, canzoni che ogni radio con un’anima trasmette di tanto in tanto, ogni dj set brit/rock/wave propone in alternativa, ogni compilation di genere deve contenere. Pezzi che hanno un tiro positivo, che danno un’idea vincente, che fanno pensare a quanto sarebbe bello svegliarsi una mattina ed essere Jarvis Cocker. Il mondo è bello e facile, l’amore è semplice, e se anche dovesse andar male ripartire è questione di un istante, non servono nemmeno gli occhiali rosa. Siamo pieni di bei ricordi, sofferenze zero, abbiamo sempre sfondato e continueremo a farlo.

Prestando maggiore attenzione all’intero disco, si riesce a capire che anche nel 1995 J.B.Cocker aveva qualche momento buio, ma la sua immagine preponderante è quella dell’invincibile. Fino a quando cresci e capisci che c’è un prima e un dopo, che il percorso musicale dei Pulp e quello personale di Jarvis sono ben più complessi, e che la vita è molto più difficile, e l’intera loro discografia è lì a ricordarlo, basta essere sufficientemente attenti per capirlo.
Ma è troppo tardi, e tu sulle ali dell’entusiasmo ti sei già infilato in situazioni più grandi di te, e ti trovi il cuore infiammato e dolorante come lo sarebbe il tuo piede se un Fiat Ducato carico oltre i limiti di legge ci avesse parcheggiato sopra un suo pneumatico.
Infilarsi in letti altrui non è bello. È una sfida, e regala una scarica di adrenalina liberatoria (Babies), e si finisce a confessare l’inconfessabile e a considerare accettabile ciò che è sconveniente, come se fossimo al di sopra delle convenzioni sociali (I want you), e a quel punto sei fottuto. Sei in trappola. Si ragiona, o sragiona, a targhe alterne, un giorno vorresti allontanare tutto e rimanere solo, il giorno dopo vorresti allontanare tutti e rimanere soli (Bar Italia).
E poi arrivano le grandi sofferenze, i grandi rimestamenti interiori, il fegato a pezzi e le tempie che premono. E vorresti spegnere tutto anziché pensare a quel che accade altrove, in stanze tristi e con i protagonisti sbagliati, ma che scrivono malamente la storia al posto tuo (Underwear). Finché ti rassegni, capisci che la tua fetta di torta in percentuale è paragonabile a quella dei Radicali, maledici tutto e vorresti essere stato più saggio, perché al posto sbagliato ti ci sei ormai abituato e non ti schiodi più (Do you remember the first time?).

E rifletti, e concludi che se prima di allora avessi ascoltato con più attenzione tutto quel che Jarvis Cocker aveva da dirti, che frequentare letti altrui e posti che non ti sono assegnati è una merda, non ci saresti cascato.

Sheffield Station Sunset, presa in prestito da qui